OCCHI NEGLI OCCHI   - Commento di Maria Olmina D’Arienzo

 

 

Non è prassi comune pubblicare un testo che si connoti per la mescolanza di prosa e poesia, ma la tecnica di Aldo di Mauro ha illustri precedenti, e precisamente in quegli autori classici che utilizzarono la satira menippea, appunto un misto di versi e prosa, per esprimere le loro idee e i loro sentimenti. E mi sembra che il richiamo alla satira menippea non sia fuori luogo, per quella componente satirica, ma più propriamente ironica, che ritroviamo nelle pagine di Di Mauro.

In effetti è proprio l’ironia, l’umorismo, cioè pirandellianamente prima l’avvertimento, poi il sentimento del contrario a dare senso e spiegazione alle pagine poetiche di Occhi negli occhi.

Parlerei di pagine poetiche, accomunando anche quelle in prosa, perché anch’esse sono poetiche, nella accezione semantica del termine, da  poiéo greco, che significa fare, plasmare, adattare al sentire interiore la parola che deve esprimerlo e trasmetterlo. Questa è la capacità suggestiva dei testi di Di Mauro, il saper esprimere, ma con allusività, facendo intendere e provocando echi nel lettore, che così viene attratto, coinvolto e affascinato nel cerchio magico della pòiesis, ricevendone spunti per riflessioni ed emozioni.

Prima facevo riferimento a Pirandello per quello humor intrinseco che stempera e risolve, almeno sul piano della parola, il dramma sotteso alla esperienza dell’autore. In effetti una componente fortemente dolorosa è al fondo del dettato di Di Mauro, che crede profondamente nella valenza comunicativa della parola, nel senso di una sua capacità di mettere insieme, unire, creare una sintesi, una simbiosi tra due alterità ma, nello stesso tempo, è tragicamente cosciente dell’illusione della parola.

Per me parlare è comunicare, così che le parole diventano un accenno, la chiave di un intimo pensiero, come di chi parla mentre ti appoggia la sua testa sulla tua spalla e non di chi occupa un po’ di tempo tra una cosa e l’altra! Ci sono persone che ti parlano mentre con una mano mantengono il telefono e con l’altra, magari, stanno facendo una frittata! Pazzesco!” Così dice l’autore; perché, per essere veramente in contatto con l’altro, bisogna fermarsi, restare a tu per tu, lasciando fuori tutto il resto, e saper ascoltare. Paradossalmente e tragicamente si può dialogare, “anche se chi dovrebbe ascoltare è assente”, perché prima di parlare con l’altro, è necessario “parlare dentro di sé”, “per scegliere le parole che meglio rispecchiano il proprio pensiero, i propri sentimenti, le proprie emozioni…anche se magari, al momento dell’incontro, le parole, il pensiero, i sentimenti, le emozioni si traducono in un semplice muto sguardo, in un semplice muto abbraccio”. E’ la filosofia e il messaggio di Fabio nella prima pièce del libro, un monologo di forte impatto emotivo ed estremamente struggente. Ma per realizzare l’incontro, bisogna assumere l’atteggiamento di chi appoggia la sua testa sulla spalla dell’altro senza essere frettoloso, senza dare per scontati certi gesti, certe attenzioni, certi particolari pur minimi, ma incredibilmente capaci di far sentire all’altro la tua piena disponibilità e il tuo interesse nei suoi confronti. E’ un rapporto d’amore, nel quale la parola è capace di sintonizzare, mettere sulla stessa lunghezza d’onda, per poi diventare concreta, fino a farsi carne.

Per contrasto il silenzio, almeno un certo tipo di silenzio, è assenza di vita e di amore. “Al silenzio si arriva per scelta, non è un bisogno naturale” – afferma Enrico, il protagonista di Verità negata. “La voglia di parlare è naturale alla voglia di vivere. La voglia, invece, di non parlare è una resa alla vita”. Frasi gnomiche, che hanno il sapore di sentenze, particolarmente incisive e ad effetto.

L’amore: è il motivo dominante di Occhi negli occhi. Lo stesso titolo è allusivo in questo senso, perché indica l’atteggiamento di chi è innamorato, quel perdersi nello sguardo dell’altro, per carpirne i segreti, le emozioni più riposte, il sentire più inconfessabile, la verità degli intenti. Ma l’occhio, strumento della visione, rimanda ad un’altra dimensione, quella della conoscenza, dato che il vedere, come suggerisce la radice vid (dal greco), significa anche il conoscere, nella sua accezione più profonda e nella sua essenza.

Essere, vedere, conoscere, amare è la sequenza esistenziale, che ha la sua acme nell’amore.

Ma per Aldo di Mauro che cos’è l’amore? Leggiamo: “Che l’amore esiste lo sanno tutti, ma non tutti sanno cos’è. Si confonde l’amore con il bene, l’affetto, una pacifica convivenza, un sentimento inspiegabile. Ed invece no! L’amore lo riscontri nelle piccole complicità quotidiane, lo avverti subito, perché ti sconvolge in modo totale…è l’opposto di una pace interna come il bene. L’amore ha in sé una passionalità incessante. Non si acquieta mai. Due innamorati tendono continuamente l’uno verso l’altro, per poi ritornare in se stessi e di nuovo tornare all’altro. Due innamorati non si siedono mai, sono sempre in piedi e se si siedono, mai per riposarsi, ma per vivere insieme un piacevole abbandono, una felice rilassatezza, Quelli che si vogliono bene si riposano e si addormentano. Quelli che si amano si riposano e si addormentano ma per risvegliarsi insieme. Neppure durante il sonno la vita si ferma!” Ed ancora : “Amare è desiderare di respirare la stessa aria, avvertire gli stessi odori, integrarsi nello stesso ambiente, percepire le stesse sensazioni”; è “la capacità di individuarsi tra la folla”; è qualcosa che ti fa “sfidare qualsiasi commento, qualsiasi cattiveria od insinuazione”; è la “difesa immunitaria che ti consente di reggere il peso di eventuali delusioni che la vita ti riserva”. E’ insomma “la primaria necessità esistenziale”. Comunque Aldo di Mauro “rispetta l’amore in maniera esasperata” e ne fa la cifra interpretativa della sua esistenza e del suo poetare.

Credo che non sia casuale l’ordine di successione dei testi di questa pubblicazione: prima i tre in prosa, poi le 45 poesie. Le prose, dai titoli emblematicamente allusivi ( A tu per tu con te, Verità negata e Dietro quel sorriso) sono propedeutiche e rappresentano la chiave di lettura anche dei versi.

La prima è una sorta di monologo, di cui è protagonista Fabio Dornati o, se si vuole, di dialogo fittizio con la donna amata, Laura, che è una presenza più virtuale che reale; per la verità c’è la sua foto a stabilire un contatto tra lei e il protagonista, quasi un feticcio, un oggetto scenico inquietante ed illusorio, ma che serve ad innescare il flashback dei ricordi, le tappe dell’amore, pezzi di racconto e di vita che si rivelano struggenti e pieni di rimpianto e malinconia. La tecnica compositiva appare scaltrita e degna di una sceneggiatura; il finale ripropone in maniera originale l’eterno binomio amore-morte, quest’ultima significata dal buio, che qui assume un valore positivo, in quanto metafora di uno spazio chiuso, dove ci si può ripiegare su se stessi, al sicuro della propria mente, per incontrare la creatura amata e possederla in maniera esclusiva e totale.

La seconda prosa è quasi una variazione sul tema, che si complica di un ulteriore riflessione interiore. A fare da oggetto scenico questa volta è uno specchio, elemento di forte valenza simbolica, capace di riflettere l’immagine e di sdoppiarla, sì che il protagonista, Enrico, simultaneamente è se stesso e transfert di se stesso.

L’espediente gli consente di guardarsi e tentare una sorta di bilancio esistenziale, che si rivela essere fallimentare e tragico, perché subito e sfuggito al controllo dell’io per cause esterne: un tradimento, un errore di valutazione, un’ipocrisia perversamente ammantata di un “misto di interesse, provocazione, attrazione” e di riservatezza e, perciò, equivocata per amore. Un amore che non è vissuto con la stessa intensità e verità da ambo le parti, sottratto all’imperativo categorico dell’ “amor, ch’a nullo amato amar perdona” e, perciò, solipsistico, univoco, impossibile e folle. Di qui la presa di coscienza dolorosa : “Non si può leggere un libro che non si apre!” e la disperata ammissione: “Ma è mai possibile che devo crearmi un interlocutore meccanico (nella fattispecie, un registratore) per avere l’illusione di vivere in un contesto umano? Per avere la sensazione che qualcuno mi ascolti? Qualcuno che magari mi contraddice?”, a significare il bisogno prorompente di incontro e comunione con l’altro, in un contesto di incomunicabilità e di egoismo.

E poi il terzo ed ultimo racconto in prosa, articolato in forma dialogica, dove Marta e Sergio sono paradigmi di un rapporto uomo/donna costruito sull’incomprensione, sull’equivoco e, ancora, sulla diversità sostanziale di concezione dell’amore, che nasconde un diverso modo anche di viverlo e sentirlo nei confronti dell’altro.

Quando io ho parlato di qualcosa che modifica la scaletta della tua vita, che ti fa stabilire delle priorità, che esalta i momenti di massima intimità, che rende accettabili anche i noiosi compiti giornalieri perché secondari rispetto alle emozioni successive, facendoti pregustare la gioia di un incontro che ci sarà di lì a poco…io parlavo d’amore. E l’amore sfugge ad ogni tatticismo, ad ogni diavoleria strategica. L’amore viene, ti prende e ti conduce per una strada sconosciuta che tu percorri con gioia senza farti alcuna domanda. E sul tuo viso si stampa un sorriso. E sorridi anche da solo, come sto facendo io. Dietro un sorriso, quasi sempre, c’è l’amore!” Anche nelle poesie domina il tema dell’amore, sentito come coinvolgimento totale e ossessiva ricerca di conferme, nel tentativo di fermarlo, fissarlo, renderlo definitivo.

Amor tremendo è quello di Aldo di Mauro, perché consapevole di non essere ricambiato alla stessa maniera e con la stessa intensità: lui lo vuole con tutte le sue forze e in tutte le sue fibre, nonostante tutto; lei è sfuggente, irreale, assente, onirica; lui un sognatore, un irriducibile romantico idealista, capace per amore di “volare/ dove lo spazio e il tempo/ non esistono./ Perché così è l’amore!/ E’ come andare in ferie/ in un posto lontano,/ dove non c’è lo stress/ e tutte quelle cose,/ fatte perché si devono,/ e mai perché si sentono”; lei realista, oggetto di un amore non gradito, infastidita dall’“ossessionante pressing” di lui, attaccata al gruppo dei suoi amici, dal poeta definito branco, con evidente atteggiamento di ostilità e rabbia, perché colpevole di avergli requisito la donna amata che, per la verità, da parte sua è felice di vivere la vita di sempre e se la spassa in quel rifugio collettivo, dove si sente realizzata e soddisfatta, non essendo travolta dalla forza della passione di lui. Purtroppo questo amore unilaterale è davvero disperato e disperante se, pur nella consapevolezza di non poter essere ricambiato, arriva a chiedere scusa ( “per tutte le domande/ alle quali non hai risposto…per le provocazioni/ alle quali sei rimasta indifferente…per l’insistenza degli sguardi/ di cui non ne conosci l’esistenza”), addirittura perdono (“per il fastidio che ti ho dato…se non tollero tutta la gente che ti circonda…se sono geloso un po’ di tutti…se sono invidioso un po’ di tanti…se sono innamorato di te!”); amore disperato, perché non sa difendersi e non vuole guarire, perché ammette con un candore disarmante “Che colpa posso avere se ti amo?”, perché chiede almeno di risparmiargli l’indifferenza, preferendo ad essa qualunque manifestazione di odio, disprezzo, rabbia, disgusto, avversione; e non riesce a trovare soluzione di continuità nemmeno nell’odio, perché è costretto a riconoscere che “riesce ad odiare/ solo per amore”. Pregnante ossimoro che, dall’odi et amo di Catullo in poi, è diventato topico e terribilmente vero.

Ritorna nella sezione delle poesie il rapporto/contrasto amore-morte, con una icasticità ed incisività straordinarie, rese splendidamente dalla tecnica del frammento. Un esempio: la lirica Antimonotonia: “In una vita monotona/ la morte è distrazione:/ Distraetemi!” Oppure Sogno: “Io/ tu/ intorno a noi il cimitero!”

E ancora, con una carica ironica notevole, ottenuta attraverso l’accostamento polare, la poesia Quando io morirò: “Quando io morirò,/ fate una bella festa!/ Allegra, divertente,/ gioiosa, spensierata./ E ballate, cantate,/ suonate, giocate./ Dietro ogni sorriso,/ io ci sarò e solo così/ mi sembrerà di vivere,/ per sempre!/ Quando io morirò,/ fate una bella festa!/ Non voglio facce tristi,/ non voglio che piangete./ Se io vi vedo tristi,/ se io vi vedo piangere,/ voi…mi fate morire!”  Questa lirica si conclude con un accorgimento retorico che è stilema tipico di Di Mauro, l’aprosdòketon, cioè la battuta finale inaspettata, che normalmente è tipica della barzelletta, ma qui tende a colpire come una raffica improvvisa e a evidenziare un concetto attraverso la sorpresa. La capacità umoristica e autoironica è un’altra caratteristica di Aldo di Mauro, ma ciò che è più originale è il linguaggio, che risulta essere un mélange di termini ricercati e di un lessico quotidiano, a volte intenzionalmente prosaico, a sottolineare il valore della semplicità e delle piccole cose, anche quelle più usuali. Poesia non è, infatti, “la sciocca, vacua esistenza dei sognatori”, bensì “quella sensibilità sostanziale che ti aiuta e sostiene anche nelle noiose attività pratiche”. E poi, “per assaporare il gusto delle cose semplici, occorre avere una maggiore sensibilità”. E’ un assunto critico nei confronti della poesia accademica e di maniera, che reclama il primato dell’uomo semplice, che è così comè, di contro all’uomo colto, che “da di sé l’immagine che vuole”. “Gli uomini semplici forse non hanno il fascino degli intellettuali, ma se uno li sa leggere dentro, ci trovi tanta di quella profondità d’animo che traspare da uno sguardo più che da una riflessione ben articolata”.

Questo libro di Aldo di Mauro è davvero una provocazione, perché attraverso la trasparenza degli sguardi, occhi negli occhi, vuole essere una alétheia, parola greca che indica la verità, e propriamente significa disvelamento, rivelazione di ciò che nel profondo dell’uomo è più vero ed autentico, scevro da menzogne e infingimenti, una volta rimossa la maschera delle sovrastrutture e delle convenzioni.

Allora con l’ultimo brandello di ragione/ ti ricordi che solo dentro di te/ puoi ritrovare quella forza/ per reggere i momenti di abbandono”. E’ una lezione di saggezza che Di Mauro , contro la sua stessa opinione,   può dare alla gente che da lui se l’aspetta, “per colpa di quelle maledette rughe”, ormai emerse visibilmente, come segni di esperienze vissute e sofferte.

 

 

 

                                                                         Maria Olmina D’Arienzo